Dico la mia dopo giorni di meditato ascolto.
Secondo me è un album poco omogeneo, che non è un difetto in assoluto, ma è evidente che sia il frutto di qualcosa seminato nel corso di parecchi anni; quindi a voler raccogliere è difficile rendere il tutto granché compatto. Anche la scaletta sembra un po' strana, ma per quanto ci si possa divertire a cambiare l'ordine sarebbe difficile trovare una linea coerente.
Per quanto riguarda la produzione Rick Rubin ha scelto di non inquinare troppo, anzi. Sembra una sorta di post-produzione; con Damien che fa il suo con chitarra e voce quasi in presa diretta, come a rimanere fedele all'effetto live, per poi aggiungere e caricare negli spazi o quando c'è bisogno di rendere la progressione più sontuosa.
The Gratest Bastard è la stella polare, senza la quale questo album non avrebbe avuto senso o ne avrebbe avuto molto meno.
è il testo migliore dell'album, forse l'unica canzone alla pari con i "classici" di Damien.
Da una parte mi spiace averla ascoltata e consumata per tutto questo tempo prima di gustarmi la versione su disco, dall'altra forse è meglio così, perchè tutta in una volta mi avrebbe costretto a piangere e non uscire di casa per giorni.
I miei pezzi preferiti, oltre alla stella polare, sono paradossalmente i più anomali. Quindi My Favorite Faded Fantasy, It Takes a lot to Know a Man e Long Long Way.
MFFF dopo uno spiazzamento iniziale mi ha preso indissolubilmente, poi la versione cantata ad Amsterdam è stata un pugno nello stomaco.
So di rischiare gli insulti e la crocifissione in sala mensa, ma Trusty and True a me non piace. Quando l'ho sentita per la prima volta live pensavo fosse la cover di un canto tradizionale irlandese, una canzone da cantare la vigilia di Natale per strada con Glen. E non sono mai stato particolarmente preso neanche da The Box (altre frustate in pubblica piazza
).
In definitiva penso che questo sia un album di passaggio. Un modo semplice e immediato per tornare sulle scene, far pace con se stesso, suonare cose nuove senza stare a preoccuparsi di dover scrivere a tutti i costi la storia della musica. Da questo punto di vista "I Don't want to change you" ha un senso liberatorio, svuotarsi di tutto anche di canzoncine che normalmente non avrebbe scritto per poi ripartire di nuovo, verso l'infinito e oltre.