copio qui la mia recensione postata in un altro forum
questa foto non farebbe parte della recensione, ma la trovo stupenda ed emblematica
Sono entrato in sala aspettandomi il flop di molti degli attori che interpretano in questo film le labili e disparate sfaccettature di un folle genio come Dylan, aspettative parzialmente confermate. Nota stonata Christian Bale, davvero penoso nel tentativo di ritrarre un Dylan timido e impacciato di fronte alle telecamere nei primi '60. Stesso discorso per quando doveva imbracciare una chitarra, non riuscendo a trasmettere il minimo carisma. Richard Gere e Heath Ledger se la sono cavati degnamente: al primo forse spettava la parte meno "difficile" (quella del fuorilegge Billy the Kid); il secondo, dovendo rappresentare al meglio la dissolutezza dello star-system, il conseguente sgretolamento del matrimonio del Nostro e la successiva redenzione verso la conversione al cattolicesimo, ha un po' fallito, non riuscendo ad esprimerne (ma il verbo "vomitare" si adatta piu al vocabolario Dylaniano) al massimo il tormento. Soprendente Marcus Carl Franklin, il ragazzino nero che, armato solamente della sua chitarra ammazza-fascisti e di una voce incantatrice, ci mostra la decisa e naïve volontà Dylaniana, oltre il limite della sfrontatezza, nel raggiungere il sogno di raggiungere il proprio idolo e diventare un cantante. Ma è strabiliante Cate Blanchett, perfetta nell'impersonare il fascino apparentemente indolente di un artista nel mezzo della rivoluzione elettrica (geniale la scena a Newport, con le mitragliatrici al posto delle chitarre elettriche), lo sguardo sfuggente che vede cinquant'anni oltre e una solutidine che langue nelle retrovie.
Mai vista una scelta più azzeccata.
Temevo un andamento troppo convenzionale nella narrazione (condotta dalla voce di un alter ego Rimbaudiano), come se l'aspetto biografico e/o prettamente musicale non fosse già stato trattato miriadi di volte. Haynes si sofferma invece, magistralmente, sulla poesia e sui ritagli dell'anima di un uomo che ha cambiato il nostro tempo. Lo fa conducendo la macchina da presa con una mano sempre sul punto di essere morsa da una
tarantula, rappresentando al meglio l'essenza folle e imprendibile di Dylan con l'ossatura stessa del film: psichedelico, visionario, frammentato. Una narrazione dalla rutilante imprevedibilità, senza appigli o momenti di riflessione, in una moltitudine di stili e spaziando in epoche e ambientazioni differenti. Il tutto immerso in una fotografia che si alterna tra un bianco e nero asciutto fino a colori densi e dal sapore di anni '60, mentre la colonna sonora spazia tra canzoni di studio, repertorio live e ottime registrazioni degli attori stessi.
voto 8